Le sorprese di un epistolario
Fra Gobetti e Papini
Pubblicato in: La Stampa, anno 117, n. 85, p. 3
Data: 12 aprile 1983
3O Agosto 1923. Da Pieve Santo Stefano, cioè dal suo ritiro di Bulciano, Papini manda a Gobetti una lettera che comincia con un conto, tutto artigianale e toscano, dei volumi che si accinge a sottoscrivere: quasi un aiuto fra intellettuali. È l'autore, già celebre, della Storia di Cristo, un libro che è singolarmente piaciuto al direttore e animatore della Rivoluzione liberale, che sostiene — con una punta di ostentata generosità — lo sforzo dell'editore indipendente, spregiudicato, coraggioso, tuttofare: di quel giovanissimo, ventunenne editore che redige la pubblicità, che prepara i pacchi, che scrive gli indirizzi, che commissiona gli ordini al tipografo, che rivede le bozze ,che preventiva, anche lui in modo rudimentale, i conti.
«Le mando L 52,90»: scrive Papini specificando i vari titoli. «L. 20 per abbonamento a R.L.; L. 21,40 per opere di T. Fiore; L. 7,50 per Salvatorelli, Nazionalfascismo; L 4 per Lodovici, Idiota». Ma non è solo un sostegno diretto (parte del quale in francobolli, acclusi alla lettera). C'è la curiosità dell'informazione diretta; c'è la assiduità di un colloquio che unisce lo scrittore toscano, approdato alle rive di un cattolicesimo antico dopo Le memorie d'Iddio e le bestemmie su Gesù il peccatore, allo studioso e giornalista torinese, che ha un'istintiva ammirazione per la prosa dell'autore di Un uomo finito.
«Quando usciranno gli altri volumi promessi?»: domanda, con una punta di incalzante impazienza, Papini. Cita quattro autori: Cento, che aveva scritto anche lui una storia di Cristo, Zadei, Suckert, che sarà poi Malaparte, Papafava. «Del libro di Prezzolini avrei bisogno di una decina di copie: è uscito?». È presumibile si tratti del volumetto su Giovanni Papini che ai primi del '24 Gobetti editore pubblicherà. Autore «Giuliano il sofista», l'antico compagno di cordata di Gianfalco al tempo del Crepuscolo dei filosofi: un libretto che ricorda straordinariamente la posizione pionieristica che aveva avuto Prezzolini con l'avversario risoluto di Papini, Benedetto Croce, allorché aveva stampato da Ricciardi sedici anni prima, nel 1908, il primo profilo del grande studioso napoletano.
Infine un commento; «Buoni gli articoli di Ansaldo e scritti in prosa eccellente». Sono gli articoli sul movimento delle camicie nere del primo Ansaldo, critico spietato e penetrante del movimento fascista; sono gli scritti che Nino Valeri ristamperà nell'immediato dopoguerra, nella sua antologia della Rivoluzione liberale, e che sorprenderanno tutti coloro inclini a ricordare gli accenti e le vibrazioni retoriche del direttore del Telegrafo, lo stesso scrittore che per primo aveva formulato il più perentorio giudizio sul fascismo come fenomeno di reazione «piccolo-borghese», È la sola lettera di Papini a Gobetti che sia arrivata fino a noi e che è conservata nel Centro Gobetti di Torino, cui dobbiamo questa primizia. Ma è una primizia che acquista il suo significato e il suo valore - specchio di un mondo complesso e contraddittorio — oggi che stanno per uscire, proprio in questi giorni, nella Nuova antologia — primo fascicolo del 1983, 2145° dell'intera collezione — tutte le «Lettere di Piero Gobetti a Giovanni Papini (1919 1922)», presentate e coordinate con assoluto rigore critico da Paolo Bagnoli, un esperto di studi gobettiani, che le ha tratte dalla fondazione Primo Conti dove è conservato l'archivio Papini: Bagnoli, il giovane e appassionato studioso, che ha già curato l'antologia di scritti su Papini uomo impossibile e sovrainteso alla mostra centenaria 1881-1981, col bel catalogo curato dalle nuove edizioni Enrico Vallecchi.
Già il diverso destino dei due epistolari indica il diverso destino dei due uomini. Gobetti obbligato a riparare in Francia dopo le violenze e le intimidazioni fasciste, che non può tenere ordinati né carteggi né archivi: unica eccezione, chissà come miracolosamente sopravvissuta, quella lettera certo lusinghiera per il giovanissimo editore. Papini che sfugge alle tempeste del secolo e riesce a classificare con puntigliosa attenzione l'uomo che pure era partito da posizioni iconoclaste e ribelli - tutto ciò che costituirà parte di quella trama tutta intellettuale su cui vivrà la sua singolare parabola.
In quegli anni, 1919-1922 non c'era incompatibilità politica fra Gobetti e Papini: del tipo di quelle che poi scaveranno il solco fra Prezzolini e il direttore di Rivoluzione liberale. Il Papini ripiegato sul suo cattolicesimo, quasi con venature controriformiste e antimoderne, il Papini dell'Omo salvatico, abbinato a Giuliotti, che Gobetti amerà molto, non ha niente da spartire col fascismo, diversamente da quella che sarà la seconda fase della vita dello scrittore, con la feluca dell'Accademia e il resto. È afascista, ed avrà anche atteggiamenti e rilievi critici verso il regime (anche da un punto di vista d'intransigenza cattolica, che lo porterà a schierarsi aspramente contro Gentile).
Le lettere di Gobetti a Papini, che abbracciano tre anni in tutto (diciassette, fra febbraio 1919 e dicembre 1922), non toccano quasi mai argomenti politici, affollate come sono di personaggi della cultura, di riferimenti a collane filosofiche, di progetti di conferenze, di giudizi su libri, di proposte di lavori: Papini dirigeva allora la collana «La cultura dell'anima» di Carabba, con quella vibrazione amendoliana nel titolo, che richiamava la vecchia rivista redatta a due mani nella Firenze del 1910.
Unica eccezione: una lettera dell'aprile 1921 che contiene un fremito di insofferenza per il retroterra del quotidiano cui collabora, in quel periodo intenso e fervido: «Io faccio la critica teatrale e letteraria nell'Ordine Nuovo, scrive Gobetti, benché sia tutt'altro che comunista per tenermi in contatto col movimento operaio che qui a Torino è moralmente migliore che altrove, sebbene in quest'ultimo mese sia andato molto peggiorando, il che mi preoccupa assai». Attenzione alle date: siamo nell'aprile 1921. L'offensiva fascista è alle porte, e l'incomprensione della sinistra — con l'eccezione di Gramsci — sembra aumentare anziché di minuire.
La prima lettera gobettiana, 3 febbraio 1919, è di lode per Papini: il giovane diciassettenne si rallegra per la rivista la Vraie Italie, che «è fatta molto bene: assolutamente necessaria» e si colloca già in posizione di parità, comunicando che le annuncerà su Energie nove, «la modesta rivista di rinnovamento che vado imponendo in questa saracena Torino». L'ultima, appunto del dicembre '22, è richiesta del direttore di Rivoluzione liberale — instancabile ricercatore di materiale — che vorrebbe pubblicare sulla sua rivista «qualche frammento del Dizionario dell'omo salvatico o altro». «Non le pare, aggiunge Gobetti, che abbiamo quasi una specie di diritto di ricevere il saluto dei nostri fratelli maggiori? A quali altri giovani in Italia potrebbe in questi giorni rivolgere la sua simpatia?»
Noi non sappiamo se ci fu mai una risposta a quell'interrogativo di Gobetti: «Un interrogativo, osserva Bagnoli nella sua introduzione, pieno di candida ingenuità e di lucida disperata consapevolezza». La via di Papini si muoverà in senso diverso e alla fine opposto quella percorsa da Gobetti ma rimarrà nel direttore di Rivoluzione liberale una invincibile tendenza a distinguere l'autore delle Stroncature dagli altri componenti del movimento vociano: pur nel riesame globale di tutto.
«Il fascismo fu anticipato prima della guerra da questo futurismo intellettuale», sono le conclusioni cui Gobetti arriverà alla fine del 1923, liberato da molte illusioni e da molte indulgenze; ma «la genialità di Papini è la sola ingenuamente istintivamente rappresentativa dì quest'alba che ebbe pure tutti caratteri d'un crepuscolo». Gobetti sente ormai tutti i brividi dell'irrazionalismo devastatore. Sarebbe difficile ancora oggi, sessant’anni dopo, dire meglio: sia per l'alba sia per crepuscolo.
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